E tutto ricomincia.

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    L'estate era trascorsa come un soffio di vento e settembre aveva fatto capolino portando con sé nubi grigie e torridi temporali.
    Gli ultimi giorni di agosto avevano lasciato presagire l'imminente cambio di temperature ma il mio umore era già tetro da giorni. L'arrivo di un nuovo anno scolastico significava lasciare nuovamente i miei bambini, quei poveri orfanelli che ero stata costretta ad abbandonare alcuni anni prima. Un tempo me ne prendevo cura ogni giorno, lasciandogli le gioie di un'intera estate davanti. Adesso invece durante l'anno erano soli, abbandonati, e potevo rivederli solo durante l'estate, trasformando le vecchie lezioni in giochi. Molti di loro col tempo avevano raggiunto l'età giusta per frequentare Hogwarts e io stessa gli avevo consegnato la lettera a mano e li avevo accompagnati alla carrozza che li avrebbe portati a scuola. Altri però erano ancora troppo piccoli e il solo pensiero di lasciarli soli mi faceva piangere il cuore. Ma avevo dei doveri, dando la mia parola, e non potevo di certo tirarmi indietro. L'ultimo giorno a Nottingham era stato doloroso. Mi ero alzata al sorgere del sole, avevo fatto un bagno, mi ero cosparsa di olii ed avevo indossato un leggero abito verde di seta e cotone. I decori ricuciti sull'abito erano bianchi e, alla base del busto, avevo apposto un grosso fiocco bianco, le cui frange ricadevano lungo la gonna.
    Avevo acconciato i capelli in uno stretto chignon in cima alla testa, lasciando il volto scoperto, pallido, triste. Alle orecchie avevo deciso di indossare un paio di perle bianche e al collo portavo il medaglione indicante la mia Casa. Noi Hufflepuff non eravamo nobili, però avevo fatto creare appositamente uno stemma raffigurante un tasso su uno sfondo giallo. Mostravo quel medaglione con orgoglio.
    Il mio stomaco era troppo in subbuglio per fare colazione, quindi scesi direttamente in giardino, attendendo che alcuni servi caricassero la carrozza con i miei bauli e facessero salire Degor, il piccolo cerbiatto che avevo trovato poco tempo prima. I miei bambini dormivano, era ora di andare. Non avrei potuto sopportare le loro faccette tristi mentre mi osservavano andare via, lontano da loro. Erano come dei figli per me, i figli che non avevo mai avuto e che mai avrei avuto.
    La carrozza volante fu veloce e nel giro di poche ore raggiunsi il parco del castello. Gli elfi domestici -con mio forte rammarico- si occuparono dei bagagli e mi lasciarono sola. Il castello mi guardava imponente,attendendo il mio ingresso, però io non ero pronta. Non potevo, non era momento.
    Decisi quindi di camminare un po' lungo i giardini della scuola. I ragazzi sarebbero giunti presto, a bordo di alcune carrozze volanti, ma avrei avuto tutto il tempo per disfare i bagagli e preparare il materiale per le lezioni.
    Avremmo avuto per la prima volta il settimo anno di studi, l'unica consolazione che mi era rimasta. Ero così giovane, eppure così sola..
    Camminai lentamente fino ad una grande quercia e mi fermai davanti ad essa, fissandola con dolcezza.
    E me ne ero andata via così, ragazza, donna, madre? Quanto avrei voluto risalire sulla carrozza e tornarmene a casa. Al diavolo gli studenti! Avevo la mia vita insulsa a cui pensare io.
    Sospirai, scacciando dalla testa il brutto pensiero. Avevo dei doveri, nei confronti degli altri insegnanti, nei confronti dei ragazzi, nei confronti dei loro genitori.
    Era ora che la smettessi ed iniziassi a comportarmi da strega adulta, persona che tra l'altro ero.
     
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    Ero vestita in blu, come mio solito, ben curata in ogni dettaglio. La mia veste stavolta era di un blu zaffiro, profondo e penetrante, rifinita con dettagli argentati. Poteva essere paragonata quasi ad un cielo stellato, forse un po' più saturo del normale. Sopra di essa indossavo un corpetto ben stretto in vita, com'era la moda dell'epoca, di una tonalita madreperlata. Niente di particolarmente elaborato o scomodo, poiché nessuno avrebbe dovuto vedermi. Armata di uno dei miei libri, ero scesa all'alba nei giardini del castello e mi ero issata ad un ramo della quercia con l'aiuto della levitazione. Trovavo particolarmente piacevole quella vista, poiché da lì potevo godere di una pace quasi surreale, e di una visuale ampia su tutto il Lago Nero , lo specchio d'acqua che avevamo scelto per la nostra scuola. L'avevo scelto io stessa, lo ricordavo bene, grazie ad un sogno che mi aveva anche suggerito il nome del castello. Hogwarts. Sembrava ieri quando decidemmo di creare una scuola di magia, sembrava ieri quando abbandonai la mia casa per raggiungere questo posto e non lasciarlo più. Ero l'unica, credevo, che passava le estati nella scuola, e continuava a studiare le stelle e le foglie di té in contemplazione della natura per più di tre mesi.
    Molti lo ritenevano strano, eppure io non volevo tornare a casa. Non volevo tornare da Helena (solo l'idea mi metteva i brividi) e questo anche Phiona lo sapeva. E così erano passati sette anni, sette anni in cui non mi ero mai allontanata un solo momento dalla Scuola di Magia.
    Mi chiedevo quando sarebbero tornati i miei colleghi e come facessero ad improvvisare le lezioni senza nemmeno un minimo di preparazione o di assestamento nel loro ufficio, rimasto disabitato per qualche mese. Certo, provvedevo a mantenerlo pulito ed ordinato per quanto mi era possibile, assolvendo le mie mansioni di Castellana, ma ero sicura che a nessuno, a parte me, sarebbe andata bene la mia maniacale ossessione per l'ordine. La solitudine di certo non mi spaventava: sarebbe stato l'ideale per me rimanere sola per sempre, anche se quel castello così grande e dispersivo incuteva una sorta di terrore che dovevo affrontare in completa solitudine.
    Ma luoghi come il ramo di una quercia, al contrario, non mi spaventavano, ed era lì che, per l'appunto, amavo rifugiarmi anche giornate intere a leggere. Quella volta, però, un rumore mi insospettii e fui costretta ad interrompere la mia sacra lettura. Sembravano dei passi, sempre più chiari e nitidi. Doveva essere una donna, oppure un uomo dal mantello lungo, poiché sentivo il frusciare della stoffa sull'erba, ed era un rumore che accompagnava sempre le mie uscite in giardino. Abbassai lo sguardo, cercando di discernere tra le foglie chi potesse essere. Ci volle un po' di tempo perché individuassi la mia collega Helga, senza dubbio quella a cui ero più affezionata. La trovavo particolarmente gentile, anche se non le avevo mai perdonato la sua innata ingenuità che, a mio avviso, l'avrebbe portata a brutte esperienze, anche se speravo che non fossero brutte quanto le mie.
    Vi do il bentornato al castello, Lady Hufflepuff.
    Dissi, senza muovermi dalla mia posizione, anzi premendo maggiormente la schiena sul tronco robusto, per stare più comoda. Feci scivolare una gamba a pendere dal ramo, per suggerirle di guardare in alto. Il colore della mia veste, unito alla mia voce, sarebbe stato abbastanza esplicativo; ne ero certa.
     
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    Che brutti pensieri affollavano la mia mente. Quali tristezze, malinconie, disperazioni mi accompagnavano. Quando avrei dovuto invece essere una delle persone più felici di tutto il mondo magico! Ero riuscita in tutto ciò che desideravo: avevo studiato, avevo appreso le arti magiche in modo eccezionale, portavo avanti le mie campagne anti sfruttamento degli elfi domestici e delle creature indifese, ogni estate mi occupavo dei miei orfanelli ed ogni inverno dei miei studenti.Avevo messo da parte un bel gruzzolo ed ero riuscita a divenire una delle streghe più famose del tempo. E allora perché ogni tanto i brutti pensieri tornavano ad assillarmi? Forse avrei dovuto calmarmi, forse avrei dovuto semplicemente accettare la natura della mia vita e proseguirla senza alcun rammarico. Feci un lungo sospiro e tornai a guardarmi intorno con aria distratta. Il parco sembrava deserto, come deserta appariva l'intera scuola, l'intero castello. Chissà come doveva essere la struttura quando ad ospitarla non c'erano gli gli elfi. -Vi do il bentornato al castello, Lady Hufflepuff.-. Una voce parlò da chissà dove ed una gamba mi dondolò davanti agli occhi, a pochi centimetri da me. La voce era quella di una donna, era certo, e anche l'angolo di abito blu, indicava fosse una donna, ma inizialmente non riuscii a comprendere. Sollevai la testa in direzione dell'albero e notai Rowena, la mia collega, seduta contro un tronco impegnata in una lettura. Certo, come avrei potuto sbagliarmi? Solo lei si vestiva sempre di quel colore e ancora, solo lei poteva essere seduta su un ramo a leggere. Quanto era originale quella ragazza, ogni volta mi stupiva terribilmente! Era più anziana di me, di qualche anno, però eravamo riuscite a legare parecchio, sebbene durante l'estate le nostre strade si dividessero continuamente.-Row!- esclamai, pensando solo in seguito che adesso la mia nuova posizione e classe sociale mi obbligava ad un certo codice. Per cui arrossii, imbarazzata, ed abbassai la testa per qualche istante. Quando le mie guance tornarono del loro naturale colorito, risollevai la testa verso la donna. -E' un piacere rivederla, lady Ravenclaw. Siete già tornata al castello?-chiesi gentilmente, sforzandomi di guardarla lassù. Non era una posizione particolarmente comoda per il mio collo, però non dissi nulla. Non avrei mai osato, non mi sarei mai permessa di fare una cosa simile. Ero sempre così dannatamente impegnata ad occuparmi degli altri, a farli stare bene e a farli sentire a loro agio, che molto spesso -cioè quasi sempre- sacrificavo ciò che era importante per me. Lo si vedeva con cose basilari come una posizione scomoda o come avevo lasciato tutti i miei impegni e tutto ciò che amavo per dedicarmi ad un impegno diverso, qualcosa che non riguardava solamente me ma qualcosa di più grande. Ed alla fine nemmeno mi lamentavo più di tanto. Ero sempre stata perseguitata da quel desiderio, da quella necessità di dovere morale e di giustizia nei confronti degli altri. Molti mi criticavano per questo motivo. Ritenevano facessi troppo per niente. Mi occupavo di chi non meritava il mio aiuto o di chi non avrebbe mai potuto ricambiare. Ma a che cosa serviva? Io ne ricavavo qualcosa di maggiore, qualcosa di cucito nell'animo. Nonostante ero costretta a sacrificare tutta me stessa. Nulla avrebbe mai ripagato la sensazione che io ne ricavavo, dopo una lunga giornata.

     
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    Accennai un mezzo sorriso, soddisfatta di aver suscitato quella reazione. Helga era sembrata spaesata, per un attimo, ma si rilassò nel vedermi. Ciò mi sollevava: evidentemente si fidava di me almeno quanto io mi fidavo di lei. Solo che io non volevo farlo vedere, così come non facevo trasparire alcuno dei miei sentimenti. Mi chiamò col mio nomignolo, che solo Phiona soleva utilizzare, eppure non mi diede particolarmente fastidio: in fondo, che importanza aveva il modo in cui qualcuno mi chiamava? L'importante era che, negli eventi ufficiali e quando in genere ci si trovava in pubblico. Helga aveva sempre rispettato questo limite che avevo posto, quindi non avevo ragione a preoccuparmi.
    Per quanto riguarda me, ero formale praticamente con chiunque che non fosse Phiona. Solo con lei mi potevo permettere di essere la ragazzina che ero un tempo, senza correre il rischio di essere denigrata per nessuna delle ragioni che la mia vita passata offriva.
    La situazione,in ogni caso, sembrava non mettere sufficientemente Lady Hufflepuff a suo agio: probabilmente la mia posizione non era consona. Sì, doveva essere necessariamente così. Per questo motivo, con lo stesso metodo che avevo utilizzato per salire sulla quercia, e cioè levitando, vi discesi. Mi disposi accanto a lei, mi lisciai e le sorrisi, alle sue parole.
    Non me ne sono mai andata, a dir la verità.
    Cercavo di sminuire ciò che dicevo, poiché volevo evitare ogni singola domanda che potesse fare a riguardo. Probabilmente non era il momento giusto per parlarle della mia vita. Avrei dovuto farlo, senza dubbio... ma c'era tutta quella fretta??
    Quell'idea mi faceva venire i brividi, e quindi mi strinsi nelle spalle, come fosse un atto di protezione. Dovevo impedirle di andare oltre, dovevo farlo necessariamente. Mi risolsi semplicemente nel proseguire il discorso, aggiungendo:
    Ho cercato di mantenere in ordine il vostro ufficio, lady Hufflepuff, spero sia di vostro gradimento!
    Con tono severo, freddo..il mio solito tono, insomma. Evitavo il suo sguardo, facendolo spaziare sull'ambiente circostante. Il mio indice teneva il segno sul libro, che tenevo ora chiuso nella mano sinistra: probabilmente avrei ripreso a leggere, a breve. Non sapevo, d'altra parte, quanto Lady Hufflepuff si sarebbe trattenuta.
     
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    Non fui per niente sorpresa nel vederla levitare e scendere dal ramo dell'albero. Rowena era sempre stata così originale, a modo suo. Non era come le altre donne che conoscevo. Attorno a lei regnava quell'alone di mistero, di sospetto, che ti portava a vederla come quasi un esempio.
    Era un po' più anziana di me ed essendo l'unica altra donna della scuola, mi ero particolarmente affezionata alla sua persona. La vedevo un po' come un mentore, una maestra, anche se molto spesso potevo cogliere nei suoi occhi una qualche espressione di rimprovero. Io e lei eravamo estremamente diverse ed avevo previsto la possibilità di uno scontro di opinioni. Si vedeva perfettamente nei suoi occhi quanto non amasse il mio permissivismo e il mio continuo fidarmi di chiunque. Credeva mi caricassi troppo, di troppi pesi che avrei anche potuto lasciare ad altri. E io la lasciavo fare. Era la mia vita, erano i miei modi di pensare ed agire e, per quanto avessi potuto parlargliene, lei non avrebbe cambiato idea.
    E il nostro rapporto mi piaceva anche per questo motivo! Eravamo diverse, ci consigliavamo, ma ci rispettavamo.
    Quando mi disse di essere rimasta a scuola per tutta l'estate invece, lì rimasi stranamente sorpresa. Come non poteva desiderare di tornare a casa dopo tanto tempo trascorso tra quelle mura? Io proprio non avrei resistito. Stare da sola in quel grande castello, non vedere la mia famiglia, mio fratello, le mie sorelle, i miei ragazzi.
    Non potere fare quelle lunghe passeggiate a cavallo per i boschi o visitare luoghi che non avevo mai veduto in vita mia. No, no, assolutamente, io non ci sarei mai riuscita.
    Ero curiosa di sapere il motivo per cui avesse deciso di rimanere lì a scuola, ma decisi di non chiederle nulla. Non volevo essere scortese ed inopportuna, e poi lei non me ne diede la possibilità. Passò subito a parlarmi del mio ufficio, dicendo di aver tentato di mantenerlo in ordine.
    Se aveva cambiato discorso così velocemente, di sicuro significava che non era intenzionata ad approfondire la cosa e io non ero nessuno per insistere. Avremmo avuto molto tempo da trascorrere insieme e magari, col tempo e una buona dose di fiducia, sarebbe riuscita a dirmelo, chissà. La notizia del mio ufficio, invece, non mi fece gioire particolarmente. Non che disprezzassi il fatto di trovarlo in ordine, assolutamente! Negli ultimi anni, effettivamente, era stato noioso doverlo ripulire da cima a fondo una volta tornata al castello, però non amavo molto il fatto che qualcuno entrasse nel mio ufficio senza il mio permesso. Tutte le cose importanti erano tornate a casa con me durante l'estate, ma quello rimaneva pur sempre un luogo mio. Un luogo intimo e privato e non mi andava particolarmente a genio che qualcuno lo violasse.
    Ovviamente non la rimproverai. Ero certa che lei l'avesse fatto in buona fede e quindi mi feci scivolare di dosso l'irritazione precedente. Invece le mostrai un gran bel sorriso, facendo un cenno con la testa. -Ti ringrazio, ma non era necessario che ti scomodassi. Lo avrei risistemato io stessa in questi giorni-.
    Tornai ad osservare il castello. Le sue mura scure mi chiamavano, mi invitavano ad entrare, quasi dicendomi che la mia casa mi stava aspettando. Rimasi perplessa. Quale era la mia vera casa, a quel punto?
     
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